
martedì 8 marzo 2011
Tous Le Jour.

lunedì 7 marzo 2011
Cosìppare.

mercoledì 16 febbraio 2011
Sulle Colonne di un Ponte c'è Scritto AIAI.

Se avvicino la focale trovo il riflesso di una donna molto più bella di quanto non sia in realtà, sedili e qualche silenzioso compagno di viaggio.
L'indifferenza di tutti all'altrui presenza fa più rumore di questo treno, così pulito, ordinato, muto.
Vorrei sostare le ore su questi nuovi mezzi bianco blu, peccato facciano solo tratte brevi.
Quand'ero tristemente adolescente mi è capitato spesso di entrare in incubazione nei percorsi GTT, prendevo il primo pullman e vi rimanevo sopra da capolinea a capolinea, e ritorno.
Poi finiscono le steppe secche e le automobili e i tir e le rotaie e si entra nel nero, giù fino a Porta Susa e oltre, tutto nero nero nero, niente più orizzonti di cieli cyano magenta giallo.
Ecco, questo tratto lo detesto, mi impone di vedere solo più me nel vetro, sembra che fluttui in tutto quel nero nero nero, e invece son sempre qui, statica e noiosa.
Allora mi trovo qualcosa da fare: conto gli incroci del tessuto dei copri sedili, fisso le telecamere di sicurezza chiedendomi chi abbia il mio viso in quell'istante, cammino su e giù, tamburello le dita.. ma oggi la fortuna è dalla mia, posso giocare a “indovina i legami tra i gruppi di compagni di viaggio”: poco avanti a me trovo due bimbetti biondi, maschio e femmina, sicuramente fratelli; giocano a carte con una signora, ridono e ridono. La bimba è molto attratta dalla donna, troppo perché possa essere sua madre, le mamme son scontate dopo un po', non incuriosiscono tanto. E allora penso che questa signora sia una zia giovane e premurosa, ché la piccoletta la osserva tutta assorta e con gli occhi traslucidi si fa bella per spostare ogni interesse su di lei. Le fossette sembrano dire guardamiguardami.
Penso che anche io e mia sorella ci litigavamo sempre la zia, come fosse un trofeo.
Allora mi viene in mente che mi manca mia zia.
Rido con la biondina e lei mi risponde tutta sdentata e timorosa.
Finalmente torna la luce di nuovo, mi estraneo e non gioco più, guardo fuori ancora un po'.
Ma un po' è poco, perché è già ora di scendere, e vorrei risalire e tornare indietro, rifare tutto daccapo.
E allora penso che il rapporto che ho coi treni è lo stesso che ho col resto della mia vita.
martedì 15 febbraio 2011
Once Upon a Time.

Cento volte ho pensato di star facendo esattamente ciò che andava fatto, altre mille di star sbagliando tutto.
Cento volte ho creduto di avere ogni risposta tra le dita, altre mille non sapevo nemmeno cosa chiedermi.
Cento volte mi sono addormentata col pensiero di qualcuno, altre mille qualcosa mi ha aiutata a prender sonno senza nemmeno accorgermene.
Cento volte ho tentato di razionalizzare i “non volevo dire questo”, altre mille ci ho sbattuto la fronte fino a non sentire più i rumori.
Cento volte avrei voluto desiderare qualcuno, qualcosa, chiunque, più di quanto non potessi desiderare altro, altre mille ho lottato invano contro mulini a vento.
Cento volte avrei voluto scopare obbedendo solo al mio ventre, altre mille i gemiti e le voci e i baci e le lacrime e gli imprechi hanno sovrastato ogni suono.
Cento volte ho provato a chiedere scusa, altre mille ho capito che è giusto avere un capro espiatorio, uno a testa non dippiù, solo per giustificare le obbligatorie crisi freudiane.
Cento volte ho detto andiamo avanti, altre mille ho corso più veloce che potevo verso lo stacco di partenza.
Cento volte ho chiesto, implorato, mendicato, la perdita dei ricordi, altre mille ho sputato lana salata su ogni centimetro di pelle posseduta.
Certe volte avrei voluto sparire nel bianco di mattine come questa, quando gli orizzonti non ci sono, le ombre non ci sono, i colori non ci sono, gli strepiti non ci sono; quelle volte in cui dominano solo lontane eco di brusii, luci piatte, rami secchi, pastelli tiepidi e noiosi.
Sarebbero le fughe perfette, nel silenzio del niente, colle facce tutte gialle e i polmoni un po' avvizziti dal dolore del non esserci, ma ben attenti a far comunque parte di un qualche cosa, un mood forse.
Rare volte ho fatto sesso senza la necessità di trovare un perché.
Perché? Perché?! PERCHE'..?!!! Perché nulla è più totale di un orgasmo.
Due o tre volte ho intuito che l'orgasmo non bastasse, vogliono dippiù, ci chiedono motivimotivimotivi, pretendono gli sbattiti di ciglia e lo sfrigolio dei cuori, le parole del rapporto e i t'amo d'ordinanza, le mani intrecciate e gli occhi negli occhi. Essennonloffai così come dicono loro sei un sodomitapervertitoputtanonefacilonesenzasentimentieanima, in pratica è come se non sapessi nemmeno cosa voglia dire respirare.
Una volta ho poi -penso- capito che quella cosa di cui ci piace tanto parlare, quel nome che tutti abbiamo sempre in bocca, quell'ascetismo che chiunque, almeno una volta nella vita, deve provare, non è altro che un cumulo di necessità personali scontatamente egoistiche: il bisogno di sentirsi belli, buoni, bravi, interessanti, puri, altruisti, onesti, normalimaddiversi per quellapersonallì.
Quella volta ho infine deciso che io non voglio starci, ci son stata già troppe volte, è un gioco scorretto, l'ho praticato con tutte le accortezze del caso, eppure non penso d'aver mai vinto.
Ho perso d'aver vinto.
Eppure non sono diverso, non poi così diverso.
mercoledì 9 febbraio 2011
Le Cure.
domenica 23 gennaio 2011
Giustappunto.

Non scrivo quassù da un tot.
Dovrei/vorrei scrivere anche nell'altro meandro nascosto dei segreti dei fratelli segretissimi, ma nemmeno lì, nada.
Il fatto è che ora ho un “pubblico” reale, col quale forse è più divertente confrontarsi.
Certo, il commentino dello sconosciuto passato di qui per caso, così come quello dell'amica di secoli, è sempre un piacevole tuffo al cuore.
Ma devo dire che fa tutt'altro effetto il vuoto d'aria che si crea mentre finisci di recitare le tue parole, scritte colle tue dita, i tuoi neuroni, i tuoi atrii e ventricoli. Quel vuoto d'aria lì lo percepisci, lo vivi in prima persona. Quello del commentatore seriale no, puoi immaginarlo, e solitamente lo immagini come lo vorresti, e, ancor più solitamente, l'idea supera la realtà, quindi diciamo che ti trovi ad “autoreferenziarti” senza i fondamenti concreti per farlo, supponendo che “possa essere andata così, possa aver pensato quello e quell'altro”, ma buona parte delle volte così non è.
Invece quando sei TU a leggere, TU a scandire, TU a soppesare, sai che al 90% quello che volevi trasmettere è arrivato, perché è stato assunto come TU volevi che avvenisse.
Eqquindi sì, son talmente rinfrancata e estasiata da questa nuova tecnica di condivisione che non sento quasi più la necessità di perpetuare nel farlo qui.
Il tempo passa, eppure ancora non ho perso il vizio di buttare aggettivi ogni 3x2, quando scrivo quando penso quando parlo.
Il mio quadernetto nero è sempre lì in borsa, qualcuno riderebbe nel sapere che è davvero nero.
Vi appunto le parole che mi fanno ridere per lo più, l'altro giorno ne ho segnata un'altra che non so nemmeno se esista e, sincera, non mi interessa saperlo: SVAMPITEZZA, maddò da sbellicarsi.
Eppoi mi sto drogando di stesure da treno, son quelle che mi vengon meglio, i pensieri piùbbelli lì faccio sempre sopra le rotaie. Sarà che le chiappe tremano lassopra e quindi tremo tutta io e quando tremo di norma è perché son coinvolta ed emozionata e quando son coinvolta ed emozionata mi si creano mille muse in testa e potrei affrescare pareti di parole e tagliare ogni pezzo di carta per fare collage di idee nella speranza di perdere la razionalità.
Quanto vorrei imparare a distaccarmi dal reale, scriverei molto più e molto meglio.
Eppoi c'è il glossarietto di Fanelli, e quando mi rendo conto di amare qualcosa lo scrivo subito senza pensarci troppo sopra, eppoi fa troppo ridere trovare cose come “vetrata” o “acqua” e risalire al perché l'abbia scritto, in quali condizioni, dietro quale pensiero.
L'acqua, la amo con tutta me stessa, e non parlo del mare, parlo dell'acqua. Eppoi è così dolce foneticamente parlando, pur avendo in sé quel cq tanto forte ed ingombrante.
Poi penso alle cose che vorrei saper dire bene, e penso che non so dire nulla bene.
Allora ringrazio il Principe, e mi scuso dicendo che quello che non so, lo so cantare.